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[ 6a figura inesistente ]
Dur. 06' 24"

Dunque, dicevamo: Solo la produzione capitalistica fa della merce la forma generale di ogni prodotto.[1]
E nella sua forma attuale, sviluppata e dominante di questa produzione, l’uomo non produce incessantemente semplici merci, bensì produce e riproduce soprattutto sé stesso come merce da portare al mercato delle patate dell’Aia per essere sputato sulla carta da disegno di un folle.
L’anarchia della produzione si manifesta anche come anarchia del senso e delle sensibilità, e ogni mera-cosa, in quanto mera-merce, drizza la testa e costringe la filosofia a tener conto dei suoi capricci.
Abbiamo avuto una vendita di disegni di Millet. Entrando nell’atrio dell’Hotel Drouot dov’erano esposti, ho pensato “Dovresti toglierti le scarpe, perché il suolo che calpesti è sacro”.[2]

Per stare nel sacro occorre dunque che non vi sia alcunché di “mezzo” tra l’uomo e la solida Terra; Le scarpe calpestano e sono calpestate, sono sozze e indegne, sono il basso dell’uomo abitudinario, il suo informe corporale.
Per soggiornare nel sacro e qui far festa, occorre la nudità del corpo e l’immobilità del servaggio. Occorre aver fatto la festa all’uomo sulla terra.
Via dunque le scarpe!
Ed ecco così che, una volta tolte, ci si parano dinanzi con il loro volto santo.
E subito qualcuno cerca di fregarsele; per andarci nei boschi o lungo i boulevard, per portarle dal rigattiere oppure al museo.
Qualcun altro, le guarda bene e ripete il ritornello: che sian due ognun lo vede / che sian paio nessun sa.
Per sottrarre al paio di scarpe proprio ogni possibilità di “essere” Van Gogh, o di appartenere a lui così come ad ogni altra persona reale, viene insinuato che quelle rappresentate nel suo quadro non formino neppure il paio, ma potrebbero essere due scarpe destre o sinistre.[3]
Inaffidabili finanche nel loro valore d’uso e consumo che resterebbe di scarpe o di uomini?

Rimarrebbe il puzzo da bomba-cotta di merci andate a male.

Rimarrebbe il puzzo delle crisi nelle quali l’uomo stesso risulta di troppo.

Quel che rimane da fare, invece, è di portare tutto al museo dell’arte.

Con Van Gogh la natura si era data l’ultima occasione di essere naturale, prima che le merci prendessero a rappresentare la farsa di gravità.
Per non sentirne l’urlo il pittore si tagliò l’orecchio? - che manca di palpebre per chiudersi. 

Inabissato nel rigoglio vulcanico delle messi di grano maturo, un calzolaio può anche spararsi un colpo di fucile nello stomaco per togliere dall’imbarazzo la Verità in marcia, che lo ha ripagato deportandolo sul vagone merci di un treno blindato diretto verso le sue amate stelle.

[1]  - K. Marx, Il capitale, Libro I capitolo VI inedito, La nuova Italia, Firenze 1969, pag. 105.
[2] - Vincent a Theo, Parigi 29 giugno 1885 (n. 36, 29).
[3] - Persino nella mimesi pittorica Vincent sarebbe fallito? Scarpe spaiate sono inservibili (“a meno di non avere i piedi di un mostro”, commenta Derrida, Restituzioni, cit. pag.249 e 351-352). Questo di supporre trattarsi di due scarpe spaiate è anche un modo diverso di quello adottato da Heidegger per mettere a “riposo” il paio di scarpe e farne apparire la “cosità”. Ma due scarpe spaiate sistemate da van Gogh come un paio per ritrarle in un quadro sarebbero già un modo, diciamo così, “estetico” di porsi di fronte alla realtà; e il quadro che avrebbe tratto da questo “motivo” mostruoso, sarebbe null’altro che una pedanteria rispetto quel primo atto creativo e originario, e farebbe di Vincent un falsario (o Vincent, dipingendolo, diviene un salvaguardante?)…?
FIGURE: V. van Gogh, Il ponte a Trinquetaille, Arles, giugno 1888 (F 426) - Edward Munch, L'urlo, 1893.






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